domenica 27 gennaio 2013

27 GENNAIO: PER NON DIMENTICARE

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.

 
Questo testo, molto conosciuto e molto citato, viene spesso attribuito a Bertolt Brecht, ma l'autore è invece il teologo e pastore protestante tedesco, Martin Niemöller, che fu inizialmente favorevole a Hitler, ma cominciò in seguito ad opporsi fino a quando, nel 1937 fu arrestato dalla Gestapo. Sopravvissuto a otto anni di prigionia in vari campi di concentramento, tra cui Sachsenhausen e Dachau, dopo la guerra si impegnò per la pace e la riconciliazione.

L'origine esatta della composizione non è chiara. Il testo originale non fu mai fissato e lo stesso Niemöller lo usava nei suoi discorsi e sermoni variandolo secondo la necessità del momento. Questa sua caratteristica e la struttura sintetica e flessibile ha permesso di variare e adattare facilmente i soggetti citati adattandoli all’occasione. Ma al di là delle sue versioni, ciò che conta è ciò che vuole dire.

L'apatia politica e intellettuale è la migliore alleata di chi vuole imporre un pensiero unico e totalitario a scapito di chi la pensa diversamente e dei gruppi etnici e sociali che di volta in volta sono individuati come capri espiatori e additati come nemici, soprattutto nei periodi incertezza, di crisi e di timore diffuso per il futuro. E' questo che ha consentito i pogrom e i genocidi che hanno costellato il XX secolo.

E' accaduto. Siamo davvero sicuri che non possa accadere ancora? 
E se la prossima volta toccasse a noi?











venerdì 25 gennaio 2013

RACCONTA L'EUROPA ALL'EUROPA


Prima puntata del ciclo di Speciali di Passaggio a Sud Est che fanno parte del progetto europeo promosso da Osservatorio Balcani e Caucaso. Trasmissione introduttiva dedicata al tema dell'allargamento dell'Unione Europea e all'integrazione dei Balcani Occidentali e della Turchia. 

Con interviste a Francesca Zanoni, direttrice area progetti di Osservatorio Balcani e Caucaso, Paolo Bergamaschi, consigliere presso la Commissione esteri del Parlamento Europeo, Christophe Solioz, segretario generale del Center for European Integration Stretegies di Ginevra, e Nathalie Tocci, vicedirettore dell'Istituto Affari Internazionali.

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Ascolta qui la trasmissione 





giovedì 24 gennaio 2013

INIZIA IL DISGELO TRA CROAZIA E SERBIA?

Il premier croato Zoran Milanovic e quello serbo Ivica Dacic
Niente inni nazionali e nemmeno il consueto protocollo che accompagna una visita ufficiale per l'incontro tra il premier croato Zoran Milanović e quello serbo Ivica Dačić svoltosi la scorsa settimana a Belgrado e di cui abbiamo parlato nella puntata di Passaggio a Sud est del 17 gennaio. Si è trattato di un semplice colloquio “di lavoro”, ma non di meno l'incontro sembra indicare che è in atto un disgelo nelle relazioni tra Zagabria e Belgrado dopo il freddo degli ultimi mesi seguito al cambio di leadership in Serbia e in particolare dovuto prima alla reazione croata alle dichiarazioni del neo presidente serbo Tomislav Nikolić, che aveva negato il genocidio di Srebrenica e affermato che Vukovar è una città più serba che croata, e poi alle aspre reazioni di Belgrado in seguitoa all'assoluzione dei generali croati Gotovina e Markač da parte del Tribunale internazionale. Ancora nessun segnale, invece, per quanto riguarda l'incontro tra i due presidenti, Ivo Josipović e Tomislav Nikolić.

Qui di seguito la trascrizione della corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda a Radio Radicale.

"Sono venuto a Belgrado per vedere se possiamo fare meglio", ha detto il premier croato alla conferenza stampa dopo l'incontro con il suo collega serbo. Milanović ha espresso rammarico perche' i due paesi, come ha detto, hanno perso mezzo anno e ha rilevato che la Croazia e la Serbia hanno passato negli ultimi anni un periodo difficile e che sta ai governi nell'ambito del loro lavoro di fare ragionevolmente quello che si deve fare. La politica, ha detto Milanović, non e' pero' soltanto ragionevolezza bensi' anche sentimento. Quando si tratta delle integrazioni europee della Serbia, il premier croato ha ribadito che la Croazia sara' giusta. "Appoggiamo il cammino della Serbia verso l'Ue. Non e' soltanto una frase, si tratta del nostro interesse", ha detto il premier croato aggiungendo che la Croazia svolgera' un ruolo di collega e collaboratore.

Il premier serbo Ivica Dačić da parte sua ha detto che le relazioni tra la Serbia e la Croazia sono cruciali per la regione e che e' importante che i due governi collaborino, che vi esista una collaborazione operativa nella costruzione delle relazioni tra i due paesi. "Noi non possiamo cambiare il passato ma possiamo influenzare il presente ed il futuro" ha detto il premier serbo. Dačić ha sottolineato che non sono stati evitati nemmeno i temi che riguardano il vicino e piu' lontano passato. Prima, ha detto Dačić, bisogna parlare di questioni del passato: di profughi, trasferiti, processi per crimini di guerra, confini, accuse reciproche. Per quanto riguarda la collaborazione economica, Dačić ha indicato che essa non deve essere unilaterale mentre Milanović ha invitato le imprese serbe a venire sul mercato croato sottolineando che la Croazia rispetta le regole del mercato.

Per quanto riguarda l'incontro dei due premier a Belgrado i media hanno speculato che si tratta di un incontro avvenuto su pressione di Bruxelles. Il premier serbo Dačić lo ha fermamente smentito rilevando che si tratta di una iniziativa comune. Bruxelles poteva solo essere sorpresa perche' questo incontro e' avvenuto cosi' velocemente, ha osservato Dačić. Secondo gli analisti politici l'incontro e' arrivato proprio nel momento giusto e dovrebbe segnare una nuova fase nelle relazioni tra i vicini. "La Croazia e la Serbia hanno molto piu' in comune rispetto a quello che li divide e quindi sono importanti gli incontri dei leader dei due paesi a fin di migliorare la collaborazione" ha detto a Bruxelles il rappresentante del segretario di stato americano incaricato per i paesi dell'Europa sudorientale, Philip Reeker. Nel 21-esimo secolo dobbiamo andare avanti, lavorare sulla ripresa economica. Nessuno puo' esserne isolato, bisogna lavorare insieme, sia nel campo economico che per quanto riguarda soluzioni di problemi internazionali, ha detto il diplomatico americano.

I due premier hanno parlato anche del tema molto delicato, vale a dire delle reciproche accuse per genocidio presentate alla Corte internazionale di giustizia ma, come e' stato precisato, non si e' entrato nei detagli. "La questione appesantisce le nostre relazioni, lo sappiamo tutti. Cercheremo la soluzione", ha promesso Milanović. Secondo Dačić e' meglio se per la soluzione non si aspetti fino al 2014 quando e' previsto l'inizio del processo davanti alla Corte.

Ripercorrendo un po' le fasi per niente facili del rapporto tra i due paesi vicini sul quale inevitabilmente pesa la guerra di occupazione serba, va detto che il primo miglioramento temporaneo vi e' stato durante il mandato del presidente Stjepan Mesić che spesso aveva incontrato l'allora presidente serbo Boris Tadić. Poi le relazioni tra Croazia e Serbia sono nuovamente peggiorate dopo il riconoscimento croato dell'indipendenza del Kosovo e questa e' stata anche la ragione dell'assenza di Boris Tadić all'inaugurazione del presidente Ivo Josipović nel 2010. Poi, il primo incontro di lavoro, molto di sorpresa, dei due presidenti, Josipović e Tadić nel marzo 2010 ad Opatija. Una salita delle relazioni con diversi altri incontri dei due capi di stato. Tutto e' durato fino al maggio del 2012 quando ci sono stati cambiamenti di potere in Serbia e l'arrivo di Tomislav Nikolić ed Ivica Dačić alla guida del paese. Le relazioni sono maggiormente peggiorate dopo le sentenze di assoluzione ai generali croati Ante Gotovina e Mladen Markač.

Fino a qui gli aspetti positivi di questo incontro tra i due premier. Non va però trascurato il fatto che proprio mentre era in corso la riunione tra Milanović e Dačić, il presidente della Serbia Tomislav Nikolić si e' rivolto ai giornalisti esprimendo la propria posizione: Nikolić e' dell'opinione che prima avrebbe dovuto svolgersi l'incontro tra i due presidenti perche' questo significherebbe stabilire buoni rapporti e ha aggiunto di non sapere perche' Ivo Josipović sta evitando questo incontro. Nikolić e' andato anche oltre questa domanda affermando che secondo lui qualcuno non e' sincero poiche', rileva Nikolić, se la Croazia ha presentato l'accusa contro la Serbia per genocidio, allora come e' possibile che il presidente del governo croato si rechi in visita in Serbia. "O sanno che noi non abbiamo commesso il genocidio, oppure la visita non e' sinceramente amichevole", ha detto Nikolić, aggiungendo che la Croazia non puo' essere arrabbiata con il presidente della Serbia e quindi cercare qualche altro canale per mantenere le relazioni con la Serbia: "Sono io quello che rappresenta la Serbia ed i suoi cittadini sia in paese che all'estero", ha concluso Nikolić.

Dall'altra parte, il presidente croato Ivo Josipović, domenica scorsa ha rilasciato una intervista per il quotidiano di Belgrado 'Danas' esprimendo soddisfazione per l'incontro avvenuto tra i due premier e dicendosi contento dei risultati di questo incontro. "Il contenuto del loro colloquio e le loro intenzioni sono sulla traccia della politica di riconciliazione e di relazioni di buon vicinato" ha detto Josipović. Ha aggiunto che bisogna sapere che c'e' ancora molto da fare e secondo le sue parole questo incontro dovrebbe essere una sollecitazione affinche' i due governi inizino con piu' fermezza a risolvere le questioni aperte. Tra queste, il presidente croato ha rilevato particolarmente la questione delle persone scomparse, qualificandola innanzittutto come problema umano e poi anche una importante questione politica. Bisogna appoggiare politicamente la reciproca fiducia, suggerisce Josipović e' precisa che essa non si costruisce soltanto alle riunioni dei politici o nei media, ma e' importante sollecitare lo scambio culturale e sportivo, turismo, commercio e la collaborazione scientifica.

Nonostante la dura retorica e le relazioni che i giornalisti spiritosamente hanno chiamato come "un' epoca di gelo" precisa il presidente croato, non e' stato cancellato quello che si e' fatto nei precedenti tre anni, alludendo all'efficace collaborazione nello spirito di riconciliazione promossa da lui ed il suo ex collega serbo Boris Tadić. "E' arrivato il momento di sciogliere il ghiaccio e di andare piu' velocemente e meglio rispetto a quello che e' stato raggiunto finora" ha osservato Josipović. Alla domanda come vede le dichiarazioni del presidente Tomislav Nikolić che prima dovevano incontrarsi i presidenti e poi i premier, Josipović ha risposto che questo e' uno degli approcci. Cosi' e' iniziata la collaborazione che avevano iniziato lui e Tadić. Il secondo e' questo, di iniziare dal livello interparlamentare per raggiungere dei risultati.... Bisogna avere in mente tutte quelle ragioni che hanno portato all'epoca di gelo, toglierle insieme e sciegliere il momento giusto. "Credo che sia meno importante se il nostro incontro avverra' qualche mese prima o dopo, e' molto piu' importante che l'obbiettivo sia pienamente realizzato" ha detto il presidente croato.

Toccando nell'intervista l'inevitabile domanda sulle sentenze di assoluzione dei generali croati, Josipović ha detto che e' stato il Tribunale internazionale a stabilire la sentenza e non la Croazia. La soddisfazione in Croazia risulta dal fatto che in Croazia c'e' la convinzione che i crimini non sono accaduti in modo e con la colpa delle persone cosi' come risultava dall'atto di accusa e soprattutto non di un'impresa criminale. "E' importante che tutti nella regione abbiamo un rapporto di principio verso i crimini di guerra e che la responsabilita' delle singole persone sia basata su criteri assolutamente giuridici. Lo so che non e' stato sempre cosi'" ha spiegato Josipović ribadendo che sono in corso indagini sui crimini di guerra commessi durante l'azione Tempesta.


CROAZIA: SULL'ADESIONE ALL'UE RESTA L'OSTACOLO SLOVENIA

Di Marina Szikora [*]
Anche la Francia ha ratificato l'accordo di adesione della Croazia all'UE diventando cosi' il ventunesimo tra i 27 membri che lo hanno fatto. Il Regno Unito e il Belgio potrebbero essere i prossimi tra i rimanenti a concludere la procedura parlamentare: per il Regno Unito va detto che la Camera dei Comuni che quella dei Lord hanno ratificato l'accordo e manca solo la firma della regina. Tra gli stati membri che mancano ancora a concludere la ratifica, con maggiore attenzione si guarda alla ratifica della Germania ma soprattutto della Slovenia. Il Bundestag di Berlino dovrebbe ratificare il trattato di adesione croato dopo che la Commissione Europea il prossimo 21 marzo presentera' l'ultimo rapporto sul monitoring. Se il rapporto sara' del tutto positivo, il Bundestag molto probabilmente ratifichera' l'accordo nel mese di aprile. Il nocciolo piu' duro resta la Slovenia, l'unico dei 27 che non ha nemmeno iniziato la procedura parlamentare.
La Slovenia richiede alla Croazia di ritirare i processi che in Croazia si conducono sulla vicenda della Ljubljanska banka e il pagamento dei risparmi trasferiti. Anche se si e' insistito che la questione sia trattata come un problema bilaterale, la Slovenia continua a collegare la questione della Ljubljanska banka con l'ingresso della Croazia nell'Ue. Il ministro degli esteri sloveno Karl Erjavec insiste ad affermare che l'adesione della Croazia e' problematica se Zagabria non accettera' urgentemente un compromesso. Secondo la sua interpretazione, il compromesso, piu' o meno significa accettare le condizioni slovene. A peggiorare la situazione e' la sempre piu' profonda crisi politica in Slovenia che rischia le dimissioni del governo il che definitivamente ostacolerebbe la ratifica dell'accordo croato nel parlamento sloveno in tempo necessario per far si' che la Croazia aderisca all'Ue come previsto il prossimo 1 luglio.

Il dibattito alla Commissione esteri del Parlamento Europeo svoltosi martedi' ha dimostrato che al PE non si sta riflettendo sulla possibilita' che la Croazia non entri nell'Ue il prossimo primo luglio come pianificato: non esiste quindi un piano B, informano i media croati. Il parlamentare europeo sloveno Jelko Kacin ha ribadito pero' la posizione slovena, vale a dire che la Slovenia non iniziera' il processo di ratifica dell'accordo di adesione croato se il governo croato non provedera' prima al ritiro delle accuse contro la Ljubljanska banka davanti alle corti croate. Va precisato che i membri della Commissione esteri del PE hanno discusso la bozza di risoluzione sull'intero rapporto relativo al monitoring, dello stato di preparazione della Croazia per l'adesione all'Ue preparato dal relatore del PE per la Croazia, il socialdemocratico ceco Libor Rouček. La maggioranza dei deputati che avevano preso parte nel dibattito sono intervenuti sul problema della ratifica dell'accordo croato in Slovenia avvertendo che le questioni bilaterali non possono ostacolare il processo di allargamento. Nel dibattito ha partecipato anche l'osservatore croato al PE, il socialdemocratico Tonino Picula, membro del Consiglio generale del Partito Radicale Transnazionale il quale ha rilevato che la Croazia appoggera' i suoi vicini sul loro cammino verso l'Ue e che non abusera' delle questioni bilaterali per bloccare l'adesione dei vicini e questo il governo croato lo ha detto chiaramente. Picula ha sottolineato che la Croazia e' il primo paese che ha negoziato secondo criteri piu' severi ed e' il primo paese che aderisce all'Ue subendo gravi conseguenze delle guerre in ex Jugoslavia. Il parlamentare croato ha concluso dicendo che la Croazia adempirà tutti i suoi obblighi in tempo. 

[*] Corrispondente di Radio Radicale. La corrispondenza è andata in onda nella puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale.


POSITIVO IL NUOVO ROUND DI COLLOQUI TRA BELGRADO E PRIŠTINA

Dacic e Thaci hanno aperto il “capitolo” sullo status dei serbi del Kosovo

 Hashim Thaci, Carherine Ashton e Ivica Dacic
Esito positivo e incoraggiante per il quarto round di colloqui a Bruxelles tra il premier serbo Ivica Dacic e quello kosovaro Hashim Thaci, alla presenza dell'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue, Catherine Ashton. Una cena di lavoro a tre durata oltre cinque ore, conclusasi con un accordo provvisorio sulla distribuzione delle tasse doganali, che fa seguito all'intesa raggiunta a dicembre per la gestione congiunta dei valichi di confine, e soprattutto con la decisione di avviare la discussione sulla delicata questione dell'autonomia delle comunità serbe del Kosovo che non riconoscono l'autorità di Pristina.
La questione dell'autonomia per i serbi del Kosovo è contenuta nella risoluzione approvata di recente dal parlamento di Belgrado. La Serbia, pur senza riconoscere l'indipendenza dichiarata unilateralmente dagli albanesi nel 2008, sarebbe pronta a rinunciare a rivendicazioni territoriali in Kosovo, in cambio di un ampia autonomia per i serbi. “La via per una soluzione è aperta” ha detto Dacic dopo l'incontro, mentre Thaci si è definito “più ottimista che in passato”. I due premier hanno concordato di tornare a vedersi il mese prossimo.
Dunque, per quanto difficile e sofferto, il dialogo tra Serbia e Kosovo, mediato da Bruxelles, sembra iniziare a dare risultati concreti, tanto sul piano della normalizzazione dei rapporti bilaterali, quanto su quello dell'avanzamento del processo di integrazione europea di Pristina e, in particolare, di Belgrado. E' importante, soprattutto, che sia stato avviato il confronto sullo status della minoranza serba in Kosovo. Per la prima volta, pur mantenendo il rifiuto di riconoscere l'indipendenza, la Serbia sembra disponibile a rinunciare a rivendicazioni territoriali nei confronti di quella che continua a considerare – anche sulla base della risoluzione 1244 dell'Onu – una sua provincia.

Qui di seguito la trascrizione della corrispondenza di Marina Szikora per la puntata di Passaggio a Sud Est andato in onda oggi a Radio Radicale.

A Bruxelles, settimana scorsa, si e' proseguito con l'incontro tra il premier serbo e quello kosovaro sotto il patrocinio della capo della diplomazia europea Catherine Ashton. L'alto rappresentante dell'Ue per la politica estera e di sicurezza ha incontrato i due premier anche separatamente. Cosi' una cena di lavoro di cinque ore tra Ashton e il premier serbo Ivica Dačić. Il risultato di questo incontro e' stato l'accordo che i soldi che provengono dal pagamento doganale ai confini amministrativi andranno in un fondo speciale per lo sviluppo dei comuni al nord del Kosovo che verra' formato in modo tripartito, sotto l'egida dell'Ue, ha spiegato Dačić.
Il premier serbo ha precisato che il quarto round di colloqui e' stato un dialogo aperto e che "per la prima volta in modo serio si e' trattata la questione delle istituzioni parallele e il rapporto speciale verso il popolo serbo che vive in Kosovo". "Si e' parlato di come arrivare alle istituzioni che sono comuni e accettabili sia per Priština che per i serbi kosovari" ha illustrato Dačić e ha aggiunto che l'altro tema, strettamente collegato a questo, e' stata la peculiarita' della comunita' serba in Kosovo. "Ognuno di noi ha illustrato qualcosa di suo a questo proposito. Non si puo' pretendere che la questione sia risolta in una serata, si tratta di questioni fondamentali", ha rilevato il premier serbo. Dačić ha sottolineato che e' importante raggiungere un avanzamento nel dialogo e si e' detto ottimista quando si tratta delle aspettative che la Serbia fino all'inizio del prossimo luglio ottenga una data per l'inizio dei negoziati di adesione all'Ue.
Dall'altra parte pero', i media di Priština informano che dopo la riunione il premier Thaci ha comunicato che e' stato raggiunto un accordo sulle tasse doganali che esse verranno pagate secondo le leggi kosovare. Sempre secondo le informazioni dei media kosovari, Thaci avrebbe dichiarato che si e' parlato dell'eliminazione delle istituzioni parallele al nord del Kosovo e che ai "serbi al nord verra' data l'occasione di eleggere i loro rappresentanti legittimi nelle istituzioni locali". Dall'ufficio di Catherine Ashton e' stato invece rilasciato un comunicato in cui e' stato confermato che i due premier hanno concordato un accordo temporaneo sul pagamento doganale e le tassi ai confini amministrativi. "Abbiamo avuto un dialogo lungo e costruttivo e abbiamo concordato che per ragioni di un dialogo intenso ci ritroveremo a febbraio quando speriamo di raggiungere un avanzamento significativo in base alle conclusioni del Consiglio europeo dello scorso dicembre" conclude il comunicato di Catherine Ashton.
A seguito del dialogo, il premier Dačić ha incontrato sempre a Bruxelles anche il presidente del Consiglio europeo, Hermann van Rompuy il quale ha rilevato che sono indispensabili nuovi passi verso la normalizzazione delle relazioni della Serbia con il Kosovo. Dačić da parte sua ha detto di aspettarsi l'inizio dei negoziati di adesione al piu' presto "poiche' il popolo serbo merita di vivere meglio"."L'Ue soddisfera' gli obblighi verso la Serbia" ha detto Van Rompuy ma ha sottolineato che oltre alle indispensabili riforme sono necessari anche nuovi passi verso la normalizzazione delle relazioni con il Kosovo. Il presidente del Consiglio europeo ha ricordato che la prossima primavera si esaminera' l'avanzamento nel dialogo tra Belgrado e Priština e successivamente verra' presa la decisione sull'inizio dei negoziati di adesione.
All'emittente serba B92 Dačić ha detto che ognuno puo' interpretare le cose a modo suo ed ha tenuto a precisare che non e' vero che si e' iniziato con lo smantellamento delle istituzioni parallele, bensi' che e' iniziato il colloquio su questo tema. Ha aggiunto che si verra' alla soluzione presentata nella piattaforma serba sul Kosovo. "Non riconosciamo l'indipendenza del Kosovo, ma ci interessa come e' organizzato il popolo serbo, vale a dire come funzionera' la comunita' dei comuni serbi", ha spiegato Dačić.


PRESEVO: RIMOSSO IL DISCUSSO MONUMENTO AI GUERRIGLIERI ALBANESI

Il controverso monumento eretto a Presevo (Foto Beta)
Domenica 20 gennaio il governo di Belgrado harotto gli indugi e ha ordinato la rimozione del monumento eretto a Presevo, nel sud della Serbia, in memoria dei guerriglieri albanesi dell'Ucpmb (Esercito di liberazione di Medveda, Presevo e Bujanovac) morti nei combattimenti avvenuti tra il 2000 e il 2001 contro le forze serbe. Dopo settimane di accese polemiche e tentativi di mediazione Belgrado ha deciso quindi di procedere. “La Serbia ha agito in base alla legge”, ha dichiarato il premier Ivica Dacic, precisando che l'Ucmpb è stato dichiarato da Belgrado un gruppo terrorista e quindi, “la Serbia si è comportata come un qualunque altro paese nel mondo”. Dacic ha aggiunto che “tutta la Comunità internazionale concorda che si tratta di una questione interna alla Serbia” e che “con i terroristi non si tratta: ce l'ha insegnato l'Occidente”.

La rimozione è avvenuta in un clima di tensione, ma senza incidenti. Rappresaglie si sono invece verificate in Kosovo, dove la minoranza serba è stata oggetto di vari attacchi da parte di estremisti albanesi. Due bombe a mano sono state lanciate contro la sede del comune di Mitrovica Nord, città roccaforte della minoranza serba, senza per fortuna provocare danni a persone. A Djacovica è stato invece sventato un tentativo di attacco a un monastero serbo, già ricostruito dopo essere dato alle fiamme durante i pogrom anti-serbi del marzo 2004. Sono state inoltre profanate 27 tombe di un cimitero serbo.

La rimozione del memoriale di Presevo ha provocato un duro scontro diplomatico tra Belgrado e Tirana. Il premier albanese Sali Berisha ha parlato pubblicamente di "albanofobia" del governo serbo provocando la "dura protesta" del ministero degli Esteri serbo che ha definito “le accuse e le qualifiche rivolte contro il governo serbo al di sotto di ogni dignità”, accusando “il vocabolario usato (da Berisha)” di voler istigare palesemente “ad ulteriori attività finalizzate a destabilizzare la situazione nella Serbia meridionale, nell'intera regione e in tutti i Paesi confinanti abitati da minoranze albanesi”.

Sulla rimozione del memoriale di Presevo dedicato ai guerriglieri albanesi e sulle reazioni di parte serba e di parte albanese segnalo la corrispondenza di Artur Nura contenuta nella puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi aRadio Radicale.


lunedì 21 gennaio 2013

SEI ANNI DOPO SIAMO SEMPRE TUTTI HRANT DINK

Sei anni fa, il 19 gennaio del 2007, davanti alla sede del suo giornale Agos, nel quartiere di Osmanbey a Istanbul, veniva assassinato Hrant Dink, il giornalista e scrittore turco di origine armena. Era nato il 15 settembre del 1954 e si era sempre battuto per la ricerca del dialogo tra turchi ed armeni. Questo suo impegno lo fece finire nel mirino dei nazionalisti e per la sua attività pubblicistica nell'ottobre del 2004 fu condannato a sei mesi di prigione sulla base del famigerato articolo 301 del codice penale turco che puniva chi fosse ritenuto colpevole di aver diffamato pubblicamente l'identità turca (nel 2008 l'articolo fu poi attenuato, anche in conformità alle richieste dell'Unione Europea, circoscrivendolo alle offese allo Stato e agli organi costituzionali e riducendo le pene previste).

Il processo, le intimidazioni e le minacce non fecero mai venire meno l'impegno di Hrant Dink e la sua fiducia nel dialogo e nella giustizia: ci vollero tre colpi di pistola, sparati a bruciapelo alla schiena in una delle più affollate vie di Istanbul. Il suo assassinio provocò un enorme emozione in tutta la Turchia e il suo funerale si trasformò in una enorme manifestazione. All'insegna dello slogan “Siamo tutti Dink, siamo tutti armeni”, oltre centomila persone scesero in piazza per chiedere pace e riconciliazione. Sei anni dopo la sua morte, resta intatto il messaggio di un giornalista, di un intellettuale, ma soprattutto di un grande uomo che con la sua morte ha dato coraggio a tante persone di far sentire la propria voce contro un'ideologia nazionalista e reazionaria che vorrebbe impedire ai turchi di pensare con la loro testa.

Al contrario di quanto volevano coloro che hanno armato la mano del giovane fanatico assassino, Hrant Dink è diventato il simbolo della Turchia che vuole maggiore democrazia, libertà di parola e pluralismo. Il processo per la sua uccisione resta un test cruciale non solo per il governo di Recep Tayyp Erdogan e per la nuova classe dirigente emersa nell'ultimo decennio, ma per il futuro stesso della democrazia turca. Stabilire la verità e fare giustizia è importante per la famiglia di Hrant Dink, ovviamente, e per la comunità armena, ma è importante anche per la Turchia intera e per l'intera Europa. Un'Europa sempre più impaurita e diffidente, dove nazionalisti e xenofobi di ogni risma sembrano pericolosamente prendere piede, quasi che gli anticorpi prodotti dal cataclisma dei genocidi del XX secolo abbiano ormai perso la loro capacità di fermare la malattia, come ammoniva Primo Levi. Per questo è importante, oggi come sei anni fa, continuare a dire “Siamo tutti Hrant Dink”.


venerdì 18 gennaio 2013

MINACCE A GIACOMO SCOTTI

Giacomo Scotti (Foto Nicola Tiezzi)
Il portale ultranazionalista croato Hrvatski List ha pubblicato un articolo che contiene accuse gratuite e minacce contro il giornalista, scrittore e saggista Giacomo Scotti, definito un “bastardo italo-serbo” per le sue posizioni sull'operazione militare “Tempesta” con cui la Croazia nel 1995 riprese il controllo della Krajina spingendo all'esodo i serbi della regione che aveva dichiarato la secessione dalla Croazia al momento dell'indipendenza. Lo scritto, firmato da tale Joško Čelan, si chiude con la richiesta che qualcuno si occupi di “saldare il conto” con lo scrittore accusato falsamente di “odiare” il popolo croato. Il pezzo è stato scritto dopo l'assoluzione definitiva dei generali Ante Gotovina e Mladen Markac da parte del Tribunale internazionale per l'ex Jugoslavia.

Scotti è autore di saggi etnografici e storici oltre a romanzi, racconti, poesie e racconti per bambini. Nato nel 1928 a Saviano, nei pressi di Napoli, dopo essere emigrato nel 1947 in Istria, appena ceduta dall'Italia all'allora Jugoslavia, dal 1986 vive e lavora tra Italia e Croazia. È membro del Pen Club croato, dell'Associazione degli scrittori croati e dell'Associazione degli scrittori italiani. Per la sua produzione letteraria ha ricevuto numerosi riconoscimenti e premi in Croazia, in Italia e in vari altri paesi. Nel 2006 il comune di Monfalcone gli ha conferito la cittadinanza onoraria.

Molto attivo nei movimenti pacifisti europei è stato in passato fervente comunista e sostenitore di Tito. Ciò non gli ha impedito, nel 1991, di pubblicare “Goli Otok. Ritorno dall'Isola Calva”, opera che per la prima volta ufficialmente raccontava dell'isola dalmata che per anni fece da campo di concentramento e carcere politico per i "nemici del socialismo jugoslavo". E' stato spesso accusato di revisionismo e negazionismo per le sue posizioni sulla vicenda delle Foibe che non considera un'operazione di pulizia etnica quanto piuttosto una vendetta legata ai crimini di guerra fascisti.

In questo caso, comunque, non è in discussione l'opera di Scotti e le sue posizioni politiche e storiografiche, ma la stessa possibilità che egli, come chiunque altro, possa continuare a esprimerle senza subire minacce e senza intimidazioni. La libertà di espressione e di parola è una delle poche cose sacre in una società laica e liberale. Ogni sua limitazione, da qualunque parte provenga, è semplicemente inammissibile. Tutta la mia solidarietà a Giacomo Scotti.


giovedì 17 gennaio 2013

SOUTH STREAM: C'E' ANCHE LA CROAZIA

E alla fine anche la Croazia avrà la sua fettina di South Stream. Contrariamente a quanto era parso due mesi fa, tanto da spingere il presidente Josipovic a domandarsi pubblicamente “Dove abbiamo sbagliato”, Il colosso russo Gazprom e l'azienda croata del gas Plinacro hanno infatti siglato a Zagabria l'accordo per estendere anche al territorio croato il tragitto della nuova pipeline lunga quasi 2400 km. Figlia di una joint venture Gazprom-Eni, estesa poi alla francese Edf e alla tedesca Wintershall, l'opera trasferirà il gas russo in Europa occidentale, attraverso il Mar nero e i Balcani occidentali, tagliando fuori l'Ucraina.

La Croazia produce il 70% del suo fabbisogno di gas e fino al 2010 ha acquistato la restante pare dalla Russia per poi rivolgersi in seguito ad Austria e Italia. Evidentemente però Zagabria non voleva rimanere tagliata fuori da un progetto di tale portata economica e politica e ha insistito nelle trattative ottenendo alla fine che al tragitto originale venga aggiunta la connessione verso il proprio territorio. La connessione "aumenterà la sicurezza delle forniture di gas", ha detto il capo di Plinacro, Mladen Antunovic, in una conferenza stampa congiunta con il vicepresidente di Gazprom, Alexander Medvedev, che ha assicurato che "South Stream è una delle priorità della nostra cooperazione con la Croazia".

In base all'accordo raggiunto le due aziende costituiranno entro luglio prossimo una joint venture con lo scopo di realizzare il tratto croato del gasdotto per un costo di circa 60 milioni di euro. I lavori di realizzazione del gasdotto sono stati inaugurati lo scorso dicembre, mentre quelli per il tratto croato partiranno a luglio 2015 per concludersi entro il dicembre successivo. Lungo circa 100 km, il tratto croato avrà una capacità annua di circa 2,7 milioni di metri cubi di gas l'anno, a fronte dei 63 complessivi dell'intera infrastruttura.


KOSOVO: IL PARLAMENTO SERBO APPROVA LA RISOLUZIONE MA I SERBI DEL NORD NON CI STANNO

Di Marina Szikora [*]
Dopo una sessione maratona e un dibattito molto intenso, il Parlamento serbo ha approvato domenica scorsa l'attesa e tanto discussa risoluzione sul Kosovo. 175 i voti a favore, mentre hanno votato contro 19 deputati appartenenti al Partito democratico della Serbia di Vojislav Koštunica, al Partito Liberaldemocratico di Čedomir Jovanović e alla Lega Socialdemocratica della Vojvodina di Nenad Čanak. In precedenza, su richiesta del Partito Democratico, il governo aveva deciso di togliere la definizione di documento segreto dalla testo. Con questa decisione il testo della piattaforma e' stato reso pubblico sul sito del governo ed e' cosi' accessibile ai cittadini della Serbia.

La risoluzione prevede che tutti i prossimi accordi con Priština dovranno essere conformi a questo documento e si insiste particolarmente sull'istituzione delle Comunita' autonome dei comuni serbi. Il precedente testo della risoluzione era stato modificato con tre emendamenti proposti dalla Commissione per il Kosovo. La piattaforma politica per i colloqui con i rappresentanti delle istituzioni di Priština prevede cosi' che ogni soluzione del dialogo tra Belgrado e Priština dovrà essere conforme alla Costituzione serba e alla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La Serbia, riconferma il documento approvato, non riconoscera' mai l'indipendenza del Kosovo.

Il dibattito in Parlamento e' durato tutta la giornata di sabato scorso - oltre quattordici ore - ed e' stato interrotto due volte a causa del contestato emendamento del Partito Democratico il quale richiedeva di rendere pubblica la piattaforma perche' possa essere chiaro se il governo appoggia una piattaforma segreta approvata lo scorso 9 gennaio o si tratta della piattaforma originale, proposta dal presidente Tomislav Nikolić che gia' e' stata accettata dai serbi in Kosovo. Nel corso del dibattito, anche il presidente Nikolić si e' rivolto ai deputati dicendo che certa gente in otto anni non ha potuto risolvere la questione del Kosovo. "Nella vita ho perso molto, ma non posso perdere anche il Kosovo perche' non e' mio", ha detto Nikolić ricevendo applausi in aula. Rivolgendosi ai deputati, in particolare a quelli piu' critici, come i rappresentanti del Partito democratico della Serbia dell'ex premier Vojislav Koštunica, il premier Ivica Dačić ha detto che non tradira' mai il suo Kosovo e che il Dss deve tener conto delle conseguenze che per il popolo e per i cittadini potrebbe avere quello che loro propongono.

Il premier ha precisato che la politica promossa dal Dss e che riguarda l'interruzione del processo di integrazione europea ed i colloqui con Priština, non significa difendere il Kosovo bensi' al contrario, perderlo. La Serbia, ha sottolineato Dačić, non puo' tirarsi indietro finche' ci saranno serbi in Kosovo perche' finche' ci saranno loro anche la Serbia sara' li'. "Faremo tutto il possibile, pubblicamente e segretamente per aiutare i serbi in Kosovo. E non dimenticate: di partiti ce ne sono tanti, ma la Serbia e' una sola", ha detto il premier serbo rigettando l'accusa di tradimento rivolta a lui ed al suo governo. Quindi ha chiesto: "Siete stati voi a guidare la Serbia quando e' stata proclamata l'indipendenza del Kosovo? E che cosa avete fatto? Ci sono state preghiere, una manifestazione, sono state incendiate le ambasciate e dei negozi. E' cosi' che sono stati fatti gli interessi nazionali? Volete mobilitare l'esercito? No, perche' l'avreste fatto anche prima, ma non chiamate gli altri ad un suicidio colettivo", ha detto' Dačić in difesa della risoluzione e in risposta agli attacchi dell'opposizione.

Il capo dello stato, Tomislav Nikolić, ha detto di essere soddisfatto per l'approvazione della risoluzione sul Kosovo in parlamento, perche' l'opposizione e il governo, come una volta, hanno trovato un linguaggio comune sul Kosovo e perche' dietro alla risoluzione vi e' una piattaforma seria che la definisce. "La Serbia ha una base per i prossimi colloqui con le istituzioni temporanee a Priština e con l'Ue", ha affermato, da parte sua, il premier Ivica Dačić. Pero' per quanto riguarda la piattaforma i serbi sul Kosovo, i rappresentanti dei comuni e delle assemblee comunali al nord del Kosovo hanno inviato una lettera aperta al presidente Nikolić in cui affermano che la risoluzione non e' conforme alla piattaforma che il presidente Nikolić aveva illustrato loro precedentemente. I presidenti dell'autogoverno locale hanno quindi avvertito che il proseguimento del dialogo a livello tecnico e l'implementazione degli accordi raggiunti finora rappresentano un riconoscimento diretto dell'indipendenza del Kosovo.

Bruxelles ha espresso cautela sul documento. La piattaforma non ha valore per l'Ue e non avra' nessun impatto sul dialogo tra il Kosovo e la Serbia, ha detto l'inviato speciale e capo dell'ufficio Ue in Kosovo, Samuel Žbogar, ex ministro degli esteri sloveno, in una intervista al programma kosovaro RTK che viene trasmesso in lingua serba. Žbogar ha precisato di non poter commentare la piattaforma serba e ha aggiunto che per lui nel processo del dialogo resta in vigore la piattaforma del Consiglio dei ministri dell'Ue dello scorso dicembre in cui sono state indicate chiaramente le richieste dell'Ue relative al Kosovo e alla Serbia. In base a queste conclusioni si conduce il processo di dialogo, ha detto Žbogar, secondo il quale una soluzione sostenibile puo' essere trovata e questo e' ciò che è accettabile per le autorita' di Priština e per i cittadini che vivono al nord del Kosovo. "Noi non abbiamo una soluzione per il nord. Non ci puo' essere una soluzione imposta per nessuna delle due parti. Ci deve essere una soluzione da cui nessuno rimarra' frustrato", ha detto l'inviato speciale Ue aggiungendo che Bruxelles e' soddisfatta per l'attuale processo di dialogo, ma che nel futuro si aspettano maggiori risultati. Secondo la sua opinione, il maggiore successo finora e' il raggiungimento dell'accordo e l'implementazione dell'amministrazione integrata ai confini.
[*] Corrispondente di Radio Radicale. Il testo è basato sulla trascrizione della corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi.

L'insoddisfazione e le preoccupazione dei serbi del Kosovo
I rappresentanti politici delle comunità serbe del nord del Kosovo hanno inviato una lettera aperta al presidente Tomislav Nikolić in cui affermano la loro insoddisfazione e la loro contrarietà alla risoluzione approvata dal parlamento di Belgrado. Nella lettera si precisa che "sono state appoggiate in particolare le posizioni secondo le quali non si accettano accordi parziali con le istituzioni temporanee di Priština nell'ambito del cosiddetto dialogo tecnico e la posizione che nulla e' concordato finche' non c'e' un accordo completo". Secondo i responsabili delle comunità serbe del Kosovo, che non riconoscono l'autorità di Pristina, "il popolo serbo in Kosovo e' seriamente preoccupato per le istituzioni della Serbia e per le istituzioni locali che tutto il tempo sono state e restano il garante principale della rimanenza e permanenza dei serbi in Kosovo" e aggiungono che "la prassi ha confermato che laddove non ci sono le istituzioni della Serbia non ci sono nemmeno i serbi".

Sulle reazioni dei serbi del Kosovo alla risoluzione e sulle tensioni interetniche nel sud della Serbia a proposito del monumento eretto in memoria dei combattenti dell'Uck la corrispondenza di Artur Nura per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale.


SI AGGRAVA LA CRISI POLITICA IN SLOVENIA

Come abbiamo scritto due giorni fa le acque della politica slovena si fanno agitate in seguito alla minaccia della Lista Civica di Gregor Virant, presidente del Parlamento, di togliere la fiducia al governo dopo che il nome del premier Janez Janša è finito nel mirino dell'autorità anticorruzione (insieme a quello del sindaco di Lubiana, Zoran Jankovic, leader del principale partito dell'opposizione). Nuove manifestazioni, dopo quelle di dicembre, si sono tenute la scorsa settimana a Lubiana e in altre città e altre se ne annunciano prossimamente, mentre l'opposizione non parlamentare cerca di organizzare alla protesta della società civile. Qui di seguito il testo della corrispondenza di Marina Szikora per la puntata diPassaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale.

SLOVENIA: DIECI GIORNI A JANEZ JANŠA PER DIMETTERSI
di Marina Szikora
In Slovenia, come preannunciato, prosegue l'insoddisfazione dei cittadini e le manifestazioni in piazza contro il governo ed i politici sloveni. Venerdi' scorso una manifestazione di protesta maggiormente pacifica si e' svolta nel centro di Ljubljana, terminata davanti alla sede protetta del parlamento. Secondo le stime della polizia ci sono stati circa 8.000 manifestanti e due persone state di fermate perche' in possesso di coltelli. I manifestanti, giovani e molto chiassosi chiedevano le dimissioni dei politici corrotti. Il politico piu' nominato e' stato il premier Janez Janša ed alcuni ministri del suo governo, nonche' del sindaco di Ljubljana, Zoran Janković. Maggiori incidenti non ci sono stati. Un gruppo di intellettuali della sinistra portavano cartelloni con scritto "Il governo deve cadere". Uno di loro, lo storico Jože Pirjevec, ha detto che la Slovenia si e' trasformata in una palude di corruzione e ha annunciato per la fine del mese una manifestazione alla quale verra' presentato il programma di alternativa politica all'attuale governo.

I manifestanti che da oltre un mese in diverse citta' slovene protestano contro l'élite politica ed economica in Slovenia a livello locale e statale chiedono innanzitutto le dimissioni del premier Janez Janša e del suo governo, la formazione di un governo di transizione e successivamente elezioni anticipate. Per tal motivo il neopresidente Borut Pahor ha iniziato le consultazioni con i partiti sulla situazione politica dopo che e' stato reso pubblico il rapporto della commissione anticorruzione sul sindaco Zoran Janković e il premier Janez Janša. Nei colloqui con i leader dei partiti politici la questione principale, secondo un comunicato, e' "se e in che modo, nelle circostanze di sempre maggiore sfiducia della gente nel comportamento etico della politica, l'attuale governo puo' svolgere efficacemente i suoi compiti". Secondo le valutazioni del presidente sloveno, "la responsabilita' per questa valutazione sta al governo e alla coalizione dei partiti che lo compongono". Pahor aggiunge che la responsabilita' riguarda tutti quelli che svolgono i massimi incarichi politici dello stato, incluso l'incarico del presidente della repubblica. Da stabilire che cosa significherebbe una soluzione diversa e quali sarebbero le possibilita' di oltrepassare in tal caso l'emergente crisi politica.

Come conseguenza delle ultimissime manifestazioni, la Slovenia precipita così in una crisi politica ancora piu' profonda. Il presidente del Parlamento, Gregor Virant ha invitato il premier Janez Janša a presentare le dimissioni dandogli un termine di dieci giorni per prendere una decisione. Se il premier non lo fara', allora Virant con la sua Lista Civica uscira' dalla coalizione governativa. Al tempo stesso, al premier Janša e' data la possibilita' di sollevare il voto di fiducia in parlamento, ma Virant ha gia' annunciato che il suo partito votera' contro la fiducia al premier. Si aspetta che Janša si dimetta e che la coalizione governativa composta da cinque partiti concordi sul nuovo candidato premier. Secondo Virant, il candidato dovrebbe essere proposto dal Partito Democratico Sloveno che e' il piu' forte partito in parlamento. Virant ritiene che con questo si eviterebbero le elezioni anticipate e l'instabilita' politica. Va ricordato che a carico dell'attuale premier Janez Janša pende il rapporto della Cammissione anticorruzione che accusa Janša di avere un patrimonio che non corrisponde ai suoi guadagni. Altrettanto accusato per corruzione il leader dell'opposizione e sindaco di Ljubljana, Zoran Janković. Il sindaco Janković ha annunciato di ritirarsi temporaneamente dall'incarico di presidente del partito Slovenia Positiva che e' il maggiore partito di opposizione in parlamento. 


Anche la Macedonia in piazza: l'opposizione chiede elezioni anticipate
Un altro paese della regione, la Macedonia, un'altra ex repubblica jugoslava, affronta l'insoddisfazione dei propri cittadini che scendono in piazza. Oltre 7000 persone che appoggiano l'opposizione macedone hanno manifestato a Skopje chiedendo le dimissioni del premier Nikola Gruevski, nonche' elezioni anticipate a marzo. Gridando "Vattene, Gruevski!" e "E' finita!" i manifestanti hanno marciato per il centro della capitale macedone. L'opposizione accusa l'attuale governo di non aver attuato i tagli finanziari che secondo loro sono necessari per oltrepassare la crisi economica che ha colpito anche la Macedonia. Va sottolineato che circa il 31 percento di un totale di due milioni di cittadini non lavorano. La manifestazione e' stata organizzata dal Partito Socialdemocratico, il maggiore partito di opposizione in Macedonia che ancora dallo scorso dicembre chiede elezioni parlamentari anticipate insieme a quelle locali che sono previste per il prossimo 24 marzo. Il leader dei socialdemocratici, Branko Crvenkovski afferma che vi e' "una sola richiesta – elezioni democratiche e giuste. Questo regime e' finito" ritiene Crvenkovski. Il suo partito SDSM attualmente ha in Parlamento 29 seggi di un totale di 123 posti. [Ma. Sz.]

Sullo scontro tra governo e opposizione in Macedonia anche la corrispondenza di Artur Nura sempre per la puntata di Passaggio a Sud Est di oggi


PASSAGGIO IN ONDA

E' on-line la puntata di Passaggio a Sud Est trasmessa da Radio Radicale oggi 17 gennaio. La trasmissione è ascoltabile nella sezione "In Onda" del blog oppure, insieme a quelle precedenti, sul sito di Radio Radicale.

mercoledì 16 gennaio 2013

EX-JUGOSLAVIA: DACIC PROPONE LA COSTITUZIONE DI UN CONSIGLIO DEI PAESI BALCANICI

Il premier serbo Ivica Dacic
Evitiamo “baci, abbracci o insulti a seconda dei nostri legami storici”: siamo “semplicemente pragmatici” per “raggiungere un livello di comunicazione che consenta alle nostre relazioni di non essere come all'era glaciale, nonostante il fatto che non andiamo d'accordo”. Sulla base di argomentazioni di questo tipo il premier serbo, Ivica Dacic, in un'intervista ad Al Jazeera Balkan, propone una nuova forma di cooperazione rafforzata tra i Paesi balcanici riallacciando in qualche modo i legami della federazione che fu fondata dal maresciallo Tito e che vennero spezzati dai conflitti degli anni '90.
Dacic fa notare che oggi “la Bosnia- Erzegovina è certamente più vicina alla Serbia della Lituania, ma ormai un lituano ha più diritti quando viene in Serbia di chi arriva dalla Croazia. Penso che ciò sia ingiusto”. Per questo “sarebbe necessaria la costituzione di un nuovo consiglio dei Paesi balcanici”, ha detto il premier serbo, non senza destare un certo stupore, anche perché nessuno dimentica che proprio lui fu uno dei più stretti collaboratori di Slobodan Milosevic, uno dei principali artefici della sanguinosa disgregazione della Jugoslavia.
Forse proprio per fugare i sospetti ed eventuali accuse di voler risuscitare visioni egemoniche e pan-serbe, Dacic ha spiegato che “non si tratterebbe di una nuova Jugoslavia”, ma di uno strumento per facilitare la collaborazione e i rapporti di buon vicinato, perché “se è vero che i Paesi balcanici non hanno bisogno di amarsi l'un l'altro, dovrebbero però cooperare perché è nel loro migliore interesse reciproco”.



CURDI: LA STRAGE DI PARIGI POTREBBE ESSERE OPERA DELL'IRAN

(AP Photo/Thibault Camus)
Mentre Ankara attende informazioni da Parigi sulle tre militanti curde uccise la settimana scorsa (fra le quali figurava Sakine Cansiz, tra i fondatori del Pkk), e rassicura che l'accaduto non avrà ripercussioni sulle relazioni fra i due Paesi, compare l'ipotesi che dietro il triplice omicidio potrebbe esserci la mano dell'Iran. Questo, almeno, è quanto propone Ahmet Turk, deputato del Partito della Pace e della Democrazia (Bdp), l'unica formazione curda presente nel parlamento turco. "Non credo che questa volta ci sia la mano dello stato turco", ha affermato il parlamentare definendo i presunti mandanti iraniani delle tre uccisioni come "forze internazionali" che vogliono impedire alla Turchia di diventare una potenza internazionale nella regione. Turk, che nelle scorse settimane ha incontrato in carcere il leader del Pkk, Abdullah Ocalan, con il quale ha fatto il punto sui negoziati in corso con il governo di Ankara per trovare una soluzione alla questione curda. "Trovare una soluzione alla questione curda farebbe della Turchia l'unica vera potenza nella regione e per questo l'Iran potrebbe essere il responsabile [delle uccisioni] e non sarebbe la prima volta", ha detto Turk precisando però di non avere prove a sostegno della sua ipotesi.

Sabato scorso il premier turco Recep Tayyip Erdogan aveva chiesto alla Francia di fornire immediati chiarimenti su quanto avvenuto nella notte fra il 9 a il 10 gennaio, invitando anche il presidente francese Francois Hollande a spiegare la natura delle relazioni dopo che questi aveva dichiarato di conoscere una delle tre donne assassinate. I rapporti fra Ankara e Parigi, che nel corso degli ultimi anni hanno attraversato diverse crisi – tra l'altro a proposito della questione del genocidio armeno – si erano recentemente rasserenati proprio a seguito dell'elezione di Hollande.Il portavoce del ministero degli Esteri, Selcuk Unal, ha rassicurato che le relazioni turche con la Francia proseguiranno su tutti i piani: “Esiste una volontà reciproca di sviluppare i rapporti con la nuova amministrazione francese", ha dichiarato Unal sottolineando che la prevista visita di Hollande in Turchia nel 2013 non è in discussione. Quanto alle indagini in corso in Francia sul triplice omicidio, Unal ha assicurato che Ankara sta monitorando il caso da vicino: “Abbiamo chiesto alle autorità francesi di comunicarci informazioni dettagliate sui fatti”, ma i chiarimenti non possono essere chiarimenti immediati perché l'inchiesta è tutt'ora in corso. “Aspettiamo che le indagini finiscano”, ha detto Unal ai giornalisti.


martedì 15 gennaio 2013

CHE FINE HA FATTO LA SUCCESS STORY DELLA SLOVENIA?

Intervista a Franco Juri

Nel 2004, al momento del grande allargamento a est dell'Unione europea, la Slovenia rappresentava una vera e propria storia di successo europea: il primo Paese dell'ex Jugoslavia che entrava nell'Ue era la prova dell'attrattività dell'Unione e della possibilità di lasciarsi alle spalle i conflitti degli anni '90. In seguito sarebbe venuta l'entrata nell'euro e la presidenza di turno dell'Ue. Nove anni dopo, però, mentre l'UE attraversa la crisi forse più grave della sua storia, anche la situazione della Slovenia è ben diversa. Nell'intervista per Radio Radicale, Franco Juri analizza le cause della grave crisi economica e sociale e traccia un ritratto del Paese minacciato dall'instabilità politica e alle prese con scandali che stanno coinvolgendo i vertici della classe politica.





Franco Juri, giornalista e scrittore, è nato a Capodistria (Koper) in Slovenia, nell'allora Jugoslavia, nel 1956 da padre italiano e madre croata.Si è occupato di diritti umani ed è stato deputato nel primo Parlamento democraticamente eletto di Lubiana.Dopo l'indipendenza, nei governi di Janez Drnovšek, è stato ambasciatore in Spagna e a Cuba e segretario di Stato agli Affari esteri. Ha pubblicato il libro Ritorno a Las Hurdes. Guerre, amori, cicogne nere e istriani lontani (Infinito Edizioni). L'intervista è andata in onda nella puntata di Passaggio a Sud Est del 10 gennaio.


SLOVENIA: ACQUE DI NUOVO AGITATE PER IL GOVERNO DI JANEZ JANSA

Proteste contro la corruzione politica in Slovenia (AFP)


Acque politiche improvvisamente di nuovo agitate in Slovenia. Una settimana fa il premier Janez Janša aveva incassato l'appoggio del suo partito (SDS) il cui consiglio gli aveva confermato la fiducia con 281 voti favorevoli e solo quattro contrari, dopo l'annuncio dello stesso Jansa che si sarebbe dimesso dalla guida del governo qualora il suo partito avesse deciso di sfiduciarlo per essere finito nel mirino dell'anti-corruzione. In precedenza la corte costituzionale aveva bocciato tre referendum su altrettante leggi varate dal governo per far fronte alla crisi economica. Anche le manifestazioni di piazza, dopo la mobilitazione della fine di dicembre, sembravano in calo di partecipazione. Le braci, evidentemente, covavano sotto la cenere e hanno ripreso vigore al primo alito di vento che porta il nime di Lista Civica (Državljanska Lista, DL), la formazione guidata da Gregor Virant che minaccia di ritirarsi dalla maggioranza a seguito della pubblicazione, martedì della scorsa settimana, di un rapporto della Commissione anticorruzione che contesta irregolarità su asset e conti correnti bancari a Janša e al sindaco di Lubiana, Zoran Jankovic, ovvero i leader dei due più importanti partiti del Paese. Sabato La DL ha dato dieci giorni al premier: dimissioni o crisi di governo.

I CITTADINI SLOVENI MANIFESTERANNO ANCHE NEL 2013
di Marina Szikora, corrispondente di Radio Radicale [*]
Gli sloveni avevano espresso i loro desideri per il 2013 manifestando e scendendo in piazza a fine del 2012 chiedendo all'attuale governo maggiore democrazia, uno stato di diritto e sociale. In altre parole, tutto quello che e' garantito loro dalla costituzione. Va sottolineato che il pil sloveno e' 35,5 miliardi di euro, il numero di disoccupati e' aumentato a 120 mila persone, i salari sono calati, l'import-export e' stagnante e l'inflazione e' aumentata fortemente.
Un piano ambizioso su come superare la crisi economica e sociale e' stato illustrato recentemente dall'ex direttore della McKinsey, ma secondo gli esperti sloveni il Paese e' purtroppo ancora diviso politicamente e questo frena la realizzazione delle indispensabili riforme e del concetto per il progresso. Uno degli esperti, lo sloveno Petar Kraljič, indica come obiettivi necessari la lotta per diminuire il deficit, il debito e l'inflazione, realizzare la concorrenza della Slovenia ed il suo inserimento tra i quindici migliori al mondo, la crescita del pil di oltre il 3 per cento annuo, l'investimento in ricerca e sviluppo del 4 percento del pil e almeno 60 mila di nuovi posti di lavoro.
Da tutto questo risulta che il governo sloveno nel 2013 dovrebbe ascoltare di piu' il suo popolo e gli esperti. L'insoddisfazione dei cittadini e' in crescita e si annunciano nuove manifestazioni. La prima e' prevista per la prima meta' di gennaio e poi altre regolarmente, fino all'adempimento delle richieste dei cittadini. 

[*] Il testo è tratto dalla puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda il 10 gennaio


venerdì 11 gennaio 2013

L'UE POTREBBE SOSPENDERE LA LIBERALIZZAZIONE DEI VISTI PER I BALCANI OCCIDENTALI

Dopo anni di attesa, nel dicembre 2009, l'Unione Europea aboliva i visti di ingresso per i cittadini di Serbia, Macedonia e Montenegro. In questi tre anni i cittadini dei tre Paesi in possesso di passaporto biometrico hanno potuto entrare liberamente nei Paesi Ue, tranne Regno Unito e Irlanda, e in Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera. La liberalizzazione dei visti turistici ha permesso a serbi, macedoni e montenegrini di uscire dal ghetto in cui erano rimasti relegati negli anni successivi al crollo della Jugoslavia e alle guerre che avevano insanguinato i Balcani occidentali. E' stata un segnale importante per tutti gli abitanti della regione, soprattutto per quella generazione di europei cresciuta sotto il peso di conflitti, delle sanzioni, degli embarghi e della diffidenza degli altri europei, mentre i loro genitori, ai tempi della Jugoslavia titina, con il loro passaporto rosso, unici tra i cittadini dell'est europeo, potevano muoversi liberamente fuori dal loro Paese. Ora però quella liberalizzazione rischia di essere sospesa. Troppe richieste di asilo sospette rivolte in particolare ad alcuni Paesi Ue come la Germania, stanno spingendo Bruxelles a riconsiderare la liberalizzazione e a sospenderla per un tempo determinato. Se da una parte potrebbe trattarsi di una misura inevitabile, essa rischia però di dare un segnale fortemente a coloro che hanno davvero diritto ad ottenere asilo e ai Paesi che stanno lavorando per allinearsi agli standard Ue. Queste preoccupazioni sono al centro di un rapporto elaborato dall'EuropeanStability Initiative, pubblicato il 1° gennaio, che contiene anche una serie di proposte per risolvere il problema. 
Qui di seguito un contributo di Marina Szikora, corrispondente di Radio Radicale e di Passaggio a Sud Est.

Secondo le informazioni mediatiche serbe nel 2012 vi e' stato un numero record di richieste di asilo dai Balcani Occidentali il che in gran misura aumenta il pericolo che il regime di liberalizzazione dei visti per alcuni Paesi venga sospeso. Lo ha affermato Alexandra Stiglmayer, esperta per le questioni relative ai visti dell'European Stability Initiative, organizzazione nongovernativa con sede a Bruxelles, in una intervista per il quotidiano bosniaco 'Dnevni avaz'. Secondo le sue parole, nei primi dieci mesi dell'anno scorso 33.500 persone dei Balcani Occidentali avevano presentato domanda di asilo nei paesi dell'Ue mentre il numero definitivo e' molto piu' alto poiche' nei mesi invernali vi e' un grande aumento di richieste di asilo. Stiglmayer ha sottolineato che la Germania e' il paese piu' esplicito nelle richieste di reintroduzione dell'obbligo di visto e sta guidando il gruppo di paesi dell'Ue che si impegnano per un veloce e semplice modo di abolizione del regime di liberalizzazione dei visti. Ha spiegato che questa ipotesi e' plausibile e che ci sara' una procedura di sospensione della liberalizzazione per sei mesi. Successivamente a questo la Commissione europea presenterebbe un rapporto sugli effetti di una tale mossa e una valutazione se il singolo paese continua ad essere un luogo potenziale per l'afflusso di richiedenti asilo. Se verra' valutato che questo paese è a rischio, verra' attivato il meccanismo per un permanente ritorno al regime di visti, secondo quanto ha spiegato la rappresentante dell'ESI.
Secondo i dati di questa organizzazione, la Serbia sarebbe il paese record per quanto riguarda le richieste di asilo. Nel 2011 dalla Serbia sono arrivati nei paesi dell'Ue 13.980 falsi richiedenti asilo. Molto meno quelli dalla Macedonia, dalla Bosnia Erzegovina e dall'Albania. Nonostante tutto quello che e' stato intrapreso, i dati dell'anno scorso sono ancora peggiori e tutti i paesi dei Balcani occidentali segnalano una crescita di richieste di asilo. Per quanto riguarda la Serbia, 90 per cento dei richiedenti sono rom, poi albanesi, meno di tutti quelli di nazionalita' serba. Anche dalla Macedonia il maggior numero sono rom, mentre dall'Albania arrivano soltanto albanesi, dalla Bosnia rom, bosgnacchi e serbi, così come, in maniera simile, anche dal Montenegro. Secondo Stiglmayer si dovrebbe trovare una soluzione del problema, ma il ritorno al regime di visti non sarebbe giusto poiche' colpirebbe milioni di persone che non hanno abusato della liberalizzazione e sarebbe un cattivo messaggio per i paesi che lavorano per adempiere i criteri necessari ad introdurre il regime senza visti. A giudizio di Stiglmayer verrebbe compromessa la fiducia della gente nell'Ue e l'intero processo di integrazione europea. Nel cercare una soluzione del problema si dovrebbe utilizzare l'esempio dei Paesi che hanno introdotto cambiamenti nelle procedure per risolvere lo status dei richiedenti asilo. In Germania, in Svezia o in Belgio sono durate a lungo oppure durano ancora. Il Belgio lo ha cambiato quest'estate, spiega la rappresentante dell'ESI, e adesso si attendono gli effetti. La Germania ha impegnato recentemente un gran numero di persone che esaminano le richieste d'asilo che vengono risolte nell'arco di circa 10 giorni. I tedeschi dovrebbero ulteriormente sviluppare questa soluzione, cosa che non stanno facendo, conclude Stiglmayer.

NEW ESI report 
1 January 2013


giovedì 10 gennaio 2013

GLI IMMIGRATI E LE ELEZIONI IN ITALIA

Intervista di Artur Nura per Radio Radicale a Ismail "Issi" Ademi, cittadino italiano di origine albanese, da sempre impegnato sul tema dei diritti degli immigrati e del dialogo interculturale, militante e dirigente locale del Partito Democratico. La sua candidatura nelle liste del PD è stata sostenuta da decine di associazioni sulla base di un ordine del giorno approvato dalla direzione nazionale del partito, attraverso una petizione sottoscritta da centinaia di persone. Nonostante questo, però, alla fine il suo nome non è stato inserito tra quelli dei candidati alle prossime elezioni politiche. Issi Ademi è anche tra i fondatori e tra i collaboratori del portale di informazione AlbaniaNews. L'intervista è stata realizzata prima che il PD rendesse note le sue liste per la Camera ed il Senato.




Da AlbaniaNews - 9 gennaio 2013

Issi Ademi: abbiamo aperto un sentiero di integrazione e partecipazione
 
Issi Ademi: Mi sento orgoglioso perché la mia comunità mi ha sostenuto e proposto, diventando di fatto il mio sponsor politico principale, e non importa se il risultato non sia stato la mia candidatura. Abbiamo di fatto aperto un sentiero, abbiamo fatto sentire la nostra voce. 
 
Ieri sera, la Direzione del PD ha approvato le liste elettorali, e cosi come dichiarato e ribadito in più occasioni, il partito ha candidato anche nuovi italiani. Sono Khalid e Cecile, due persone di valore con le quali da anni lavoriamo insieme all’interno del Forum immigrazione del partito, presieduto da Livia Turco e coordinato da Marco Pacciotti. Sono persone preparate e competenti che sicuramente ci rappresenteranno al meglio nella prossima legislatura e a loro due andrà tutto il mio sostegno. Nelle liste ci sono anche Nona e Fernando, candidati alle primarie, ma presenti in posizioni non eleggibili, e sono convinto che il loro impegno sarà costante affinché si consolidi l'impegno del partito nelle politiche migratorie, nei diritti di cittadinanza e in un maggiore coinvolgimento dei nuovi italiani.

A metà dicembre, solitamente periodo di feste, un gruppo nutrito di amici mi ha proposto un’azione collettiva per rendere possibile una mia candidatura nelle liste del PD, più esattamente tra quel 10% di candidati a dispozione del Segretario Bersani. Due giorni prima, in una direzione di partito era passato l’ordine del giorno di Touadi, Pacciotti e Turco che sanciva l’impegno ad eleggere nel prossimo parlamento anche nuovi italiani. A seguito di questo documento, oltre 35 associazioni albanesi in Italia hanno scritto al segretario Bersani proponendomi come potenziale candidato. Hanno aperto una petizione online e hanno raccolto molte firme. Hanno aderito italiani, albanesi, altri cittadini migranti, amministratori pubblici, docenti universitari, giornalisti, presidenti di ONG e molti altri ancora. Eravamo convinti che il numero dei candidati presenti nel listino sarebbe stato maggiore di due e distribuito tra Camera e Senato, e quindi la mia candidatura, secondo i miei sostenitori, non era alternativa ai due colleghi che oggi sono in lista, bensì complementare per avere alla Camera un gruppo competente e determinato a portare avanti le battaglie sulle politiche di integrazione e sui diritti di cittadinanza e di voto.

Mi ha piacevolmente sorpreso il livello di unità e adesione che si è creato attorno alla mia persona da parte della comunità albanese in Italia, a prescindere dalle convinzioni politiche dei singoli membri e sostenitori. Moltissime persone mi hanno scritto messaggi di incoraggiamento e finalmente si sono sentiti protagonisti per qualche giorno di un'arena politica che solitamente li vede come un problema. Mi vorrei soffermare su questo punto e ringraziare di cuore tutti quanti, anche se con molti lo farò di persona nei prossimi giorni. Sono orgoglioso di appartenere alla comunità albanese in Italia, perché è una di quelle più integrate con oltre 500 mila presenze, più di 50 mila cittadinanze ottenute e capacità di fare imprese elevata, contribuendo al benessere e alla crescita del nostro nuovo paese di adozione, l’Italia.

Mi sento orgoglioso perché la mia comunità mi ha sostenuto e proposto, diventando di fatto il mio sponsor politico principale, e non importa che il risultato non sia stato la mia candidatura. Abbiamo, di fatto, aperto un sentiero, abbiamo fatto sentire la nostra voce. Abbiamo dimostrato che ci interessa la cosa pubblica e che la nostra mobilitazione e la nostra rivendicazione non è un fatto di isolamento o ghettizzazione ma piuttosto di integrazione e partecipazione.

Di nuovo un grazie di cuore a tutto il gruppo di amici, tutti volontari, che mi ha dato una mano in questi giorni, sottraendo ore preziose al lavoro, al riposo festivo e alla famiglia. Un grazie di cuore a tutte le figure pubbliche che mi hanno dedicato un "cinguettio" su Twitter oppure qualche riga di timeline su Facebook. Consideriamo questo come l’inizio di un percorso che potremmo valorizzare di più e meglio nel futuro. 
 
 

IL NATALE ORTODOSSO IN SERBIA NEL SEGNO DEL KOSOVO E DELL'INTEGRAZIONE EUROPEA

di Marina Szikora, corrispondente di Radio Radicale
In Serbia gli analisti commentano con moderato ottimismo gli annunci che quest'anno ci sara' il lungamente atteso inizio dei negoziati di adesione all'Ue, ma indicano che mantenere buoni rapporti con l'Unione e' molto importante anche per lo sviluppo economico del Paese.

L'ex direttrice dell'ufficio governativo per le integrazioni europee, Tanja Miščević ritiene che ci siano le condizioni per il progresso e che nonostante tutti i problemi relativi all'introduzione degli standard europei, l'armonizzazione delle leggi e la loro implementazione, e' stato raggiunto il necessario progresso. Secondo Miščević, adesso, ad un tale livello e' arrivato il tempo per i negoziati di adesione. Secondo la sua opinione ci sono anche le condizioni politiche poiche' tutte le grandi questioni che avevano ostacolato il processo delle integrazioni europee hanno raggiunto una buona rotta. La condizione chiave di qualsiasi prossimo passo in questa direzione e' la questione Kosovo. Dalla Serbia si aspetta di attuare tutto quello che finora e' stato accordato, innanzitutto l'accordo sul comune governamento dei confini amministrativi. In piu', nell'anno nuovo all'ordine del giorno vi e' la questione delle istituzioni serbe al nord del Kosovo, una questione che irrita particolarmente, secondo le informazioni e dichiarazioni, la Germania. Secondo l'ex ambasciatore serbo in Germania, Ognjen Pribičević, e' difficile prevedere cosa generalmente accadra' in Serbia, avendo presente la grave situazione economica ed il fatto che ci saranno pressioni dovute alle richieste di aiuti finanziari dall'estero. Quando questo si collega con il problema Kosovo e le integrazioni europee, e' dell'opinione Pribičević, nessuno osa prevedere quello che accadra'.

Secondo l'economista Vladimir Gligorov l'avvicinamento all'Unione non e' la condizione per la sopravvivenza della Serbia ma e' decisivo per lo sviluppo economico e sociale. Aggiunge che la Serbia nei precedenti 20 anni aveva gia' sperimentato lo scenario della sopravvivenza fuori dall'integrazione nell'Ue. E' bene, precisa questo esperto, che la Serbia sia integrata il piu' possibile nel suo ambiente economico in cui dominante e' proprio l'Ue, un mercato enorme, il piu' grande al mondo che anche se ha dei problemi, questo mercato, in quanto libero e comune, sara' quello che si manterra'. L'ex ambasciatore serbo, Ognjen Pribičević ricorda che se la Serbia ha deciso il suo avvicinamento all'Europa, allora deve adempiere le condizioni chiave entro la primavera ma ha anche avvertito che la questione dell'allargamento e' impopolare in Germania e quindi non e' reale che la Germania sia pronta ad attivarsi oppure di dare qualche tipo di sostegno nel processo delle integrazioni europee. Ricordiamolo, il prossimo marzo la Serbia dovrebbe ritrovarsi all'ordine del giorno della riunione dei ministri Ue i quali valuteranno se sia arrivato il tempo per dare il segnale verde a Belgrado per proseguire con le eurointegrazioni. Fino ad allora pero' il Parlamento serbo dovrebbe approvare la risoluzione sul Kosovo, mentre la ripresa del dialogo tra i due premier, Ivica Dačić e Hashim Thaci e' prevista per il prossimo 17 gennaio.

Recentemente, ai primi dell'anno, il premier serbo Ivica Dačić ha affermato che la piattaforma sul Kosovo di per se non risolvera' il problema se i negoziati con Priština non continueranno. Dačić ha detto che i negoziati andranno per il loro cammino poiche' non ci sono alternative. Ha precisato che il dialogo con gli albanesi del Kosovo, nonostante tutto, deve continuare affinche' si possa arrivare ad una soluzione sostenibile invece di stabilire obiettivi che non sono realizzabili. Dačić ha ribadito che per tal motivo, la risoluzione sul Kosovo non comportera' l'interruzione del dialogo. Secondo il premier della Serbia, il divieto al presidente Tomislav Nikolić di visitare il Kosovo per il Natale ortodosso non e' stata una buona mossa poiche' non contribuisce al rilassamento delle relazioni tra Priština e Belgrado ma nonostante questo il dialogo deve continuare. Rivolgendosi ai giornalisti, Dačić ha detto che il divieto a Nikolić di recarsi in Kosovo per Natale e' un atto illecito delle autorita' di Priština e questo conferma la differenza tra i principi e la vita sul terreno che la Serbia deve accettare per arrivare ad una soluzione sostenibile in Kosovo.

In occasione del Natale ortodosso, il presidente della Serbia Tomislav Nikolić nel suo augurio ai cittadini della Serbia ha rilevato che la Serbia nel 2013 si dedichera' alla riconciliazione e ha sottolineato che il suo piu' caro obbilgo e' quello di mandare gli auguri natalizi ai cristiani, sia quelli secondo il calendario giuliano che quello gregoriano. Nikolić ha ricordato che quest'anno la Serbia ospitera' la cerimonia dell'anniversario di 1700 anni dell'Editto di Milano e l'ordinamento dell'imperatore Costantino con il quale il cristianesimo e' finalmente diventato una religione e sono state concesse liberta' religiose che precedentemente erano state negate, con uccisioni dei credenti e incendi dei santuari. Nikolić ha rilevato che anche la Serbia ha bisogno di molta piu' pace e buona vita nonche' di un governo che soddisfera' quello di cui i cittadini necessitano di piu'.

Gli Stati Uniti, da parte loro, sono detti delusi perche' e' mancato l'accordo che poteva facilitare la visita del presidente serbo Tomislav Nikolić in Kosovo per festeggiare il Natale ortodosso. Cosi' un rappresentante dell'amministrazione americana al corrispondente dell'agenzia serba Tanjug a Washington. Il rappresentent americano ha aggiunto che gli Stati Uniti gia' da tempo appoggiano la normalizzazione del processo che potrebbe acconsentire le visite dei vertici dello stato di entrambi i paesi. "Invitiamo le due parti ad affrontare in modo costruttivo questo problema e di trovare la soluzione nello spirito di collaborazione che si sta sviluppando nel dialogo sotto il patroncinio dell'Ue" ha detto il funzionario dello State department. Il presidente Nikolić ha dichiarato che voleva passare il Natale laddove e' piu' diffiicile – in Kosovo ma la comunita' europea non ha passato l'esame e questo sara' la base dei prossimi negoziati. Nikolić ha detto che non chiedera' mai piu' il premesso per andare in Kosovo poiche' nessuno glielo dara'.

Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata diPassaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale